Rametti di larice
lunghi aghi di carezze
non punge l’odio
quando la sua natura
perde le foglie l’inverno.
Qualcosa si è perso,
è trauma, è accaduto,
ed ora ci si dispera,
ma io resto come il vento
una sola onda sul lago.
Giacomo
Parole in origami attraverso la volta del cielo
Non potete comprare il vento
Non potete comprare l’aria
Non potete comprare la luna ed il sole
Non potete comprare il fulmine
Esplosero i mari ed i ghiacciai
Esplosero rocce diamanti e paure
Esplosero isole monumenti di marmo e caverne improvvise
Esplose il tempo delle prime cose
Esplose il tempo dei primi sogni e delle pietre amiche
Furono ridisegnati promontori dell’inizio
Furono ridisegnate le fasce orari e i templi della memoria
Furono scritte le nuove regole delle aquile e degli albatros
Furono inventate le frecce del ritorno
Fu inventato il pane del domani
Fu inventato il sentiero della caccia
Furono inventate le città e i comignoli angolari
Furono inventate le regole della guerra e della morte
Fu inventato il potere
Fu inventato il segno della parola
Non potrete mai comprare il dolore delle madri e dei cervi
Non potrete mai comprare il sogno
Non potrete mai comprare la memoria e la fantasia
Non potrete mai comprare la fede
Non potrete mai comprare la paura
Non potrete mai comprare la gioia
Non potrete mai comprare la velocità del falco
Non potrete mai comprare lo sguardo del ghepardo
Non potrete mai comprare la luce dell’intelligenza
Non potrete mai andare nel negozio degli sguardi
Non potrete mai recarvi nella boutique della speranza
Non potrete mai entrare nel mercato del silenzio
Non potrete mai acquistare qualcosa nelle bancarelle
dell’infinito
Non potrete mai comprare la notte
Non potrete mai comprare le lacrime di dio
Non potrete mai comprare il sudore della terra
Nacquero le parole del vento e della vendetta
Nacquero il gioco delle rondini e la tenerezza degli abbracci
Nacque il fumo delle città
Nacque il terrore dell’acciaio e delle corde
Nacquero croci e bandiere senza nome
Nacquero maschere e fontane
Nacquero campane giostre ed aquiloni
Nacquero le urla delle rivoluzioni e delle streghe
Nacquero orologi e pistole avvelenate
Nacquero libri e medicine senza denti
Non potrete mai comprare il domani delle libellule e dei
cortili
Non potrete mai comprare gli addii e gli sguardi della storia
Non potrete mai comprare le dolci sinuosità della
melanconia
Non potrete mai comprare queste parole
Si ringrazia per la collaborazione
Paul Sark
Il vento respira alle mia spalle
si affanna a fuggire da un tramonto che lo intristisce,
corre via di fretta e porta con sé i miei passi
lenti e rumorosi.
I colori di un cielo che muore si baciano,
dando un timido benvenuto alla mia ombra,
anch’ella parte di questo fiume nero, chiamato notte,
dove naviga fluttuando intorno alla mia figura,
cerca attenzioni che io non posso darle.
Sono solo in questa folla,
le luci accecano solo me mentre scappo
senza un motivo, senza meta e senza fiato.
Le cose buone le fai senza ragione,
ma non qui,
ma non io.
Il cielo si racchiude in sé stesso,
tace e sbuffa e si accartoccia
per poi srotolarsi in un tappeto
che mi chiama ad un nuovo viaggio.
Ma non qui,
ma non io.
Si ringrazia per la collaborazione
Francesco Trocchia (http://trichecopsichedelico.wordpress.com) per la poesia
Eva Munter per la fotografia
È la mia terra, di odori secchi e colori bruciati.
La montagna in fondo ci cinge le spalle accompagnandoci per ogni percorso.
Il profumo di pomodori e carne combinati nelle case aperte sulla strada, il legno violentato dalla luce sulle porte.
La ricerca di un sollievo sociale.
È un eterno pomeriggio di sole sibilante.
Anime nere di un mondo fatto di una morte così compiuta, così perfetta, da essere principio di una vita silenziosa.
La strada è una lingua di fuoco grigio, scintille rombano nell’eterno pomeriggio.
Soffia un vento d’Africa che nega il respiro dell’aria sulla pelle, porta acqua da dentro i corpi.
Sono tornato, come sempre, alla terra bruciata dei padri.
Gianmarco
Raji
Vento.
Poi, nulla, solo un raggio di sole
sulla piuma, nel suo lento appoggiarsi
con grazia, sulla spiaggia.
Mi ricordo dei tuoi passi, leggeri
che accarezzavi la terra,
come bevevi il tè, con quei movimenti
eleganti, consapevoli del gesto.
E riprende il vento che si porta
via la piuma e si alza di nuovo alta
lassù, volteggiando e scomparendo
in questo cielo oggi così sereno.
C’è silenzio, e potrei aver paura
che qui non rimanga più nulla.
E’ quando tutto lasci che vada
che vedi infine la tua partenza.
Giacomo
Il sole di una fiaba non ha calore
ne la musica sentimento od il fiore
il suo profumo, l’amore diventa
un vento, che passa e va, lontano.
Ti ricordi dei sogni se sei bravo
ma non di quelli che fai da sveglio,
è la vita solo che si imprime su quella
pellicola e tutto il resto son fiabe.
Giacomo
Lì fuori un vento sibilante spazza la notte. Sono le cinque del mattino e gli infissi tremano. Tremano di paura. Nel mio stanco pensare notturno getto l’orecchio al di fuori, dove l’aria combatte contro la disuniformità della superficie terrestre, contro la struttura segmentata della città. S’infila nei vicoli: i cavedi e gli spazi nascosti, tra casa e casa intonano un lugubre canto, un lamentoso frusciare che gioca e riprende i versi delle piante spettinate dall’aria. Ondeggia non visto nel buio l’abete fuori dalla mia finestra, si piega alla forza che squote la notte. Poi lontano lontano, odo un meccanico rantolo, un cardine che scricchiola disumano, sgradevole. Dopo quel grido disperato nulla rimane e d’un tratto stoc!, il legno dell’infisso batte violentemente contro la pietra della casa, forse ne ferisce l’intonaco, forse scopre una lacrima di calce. Spalanco gli occhi per meglio udire il rinnovato silenzio figlio del contrasto con il momento prima. Ad ogni folata un’onda di pressione s’insinua dentro casa ed anche le porte lo sanno e prendono vita, oscillano in quel mugghio ruvido che mi spaventa, che non mi lascia sprofondare nel torpore del sonno. Di nuovo le zampe del vento artigliano le case là fuori, sento un cadere di cristalli infranti, quasi una fragilità umana caduta di fronte ad un nemico di impari forza e brutalità. Quasi una poesia morta, cantata per l’ultima volta, e non udita.
Giulio