Ho ferito chi amo

Ho ferito chi amo.

È stato
facile: avvicinarsi,
aprire la bocca,
spingere fuori
una manciata di parole.

È stato
veloce: in tutto,
credo,
pochi secondi.

E ora che è passato
un giorno
siamo qui,
con gli occhi umidi
a fissare quelle parole.

Cinque parole che stanno.

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Foto: Lisbona 2017

Le parole dell’assassino

Parole scelte
per uccidere
come killer esperto
di quelli che
ma stavolta
l’assassino sbaglia le misure
e nella carne molle della vittima scopre
un ventre a brandelli
ossa sfilate da dentro
un urlo: il suo.

Il mostro ha colpito ancora.

Epifania d’una ferita

©Nadia Lambiase

Le ferite, a volte, non si vedono. Si manifestano attraverso sintomi, però la ferita in sé, la causa, resta nascosta. E così sorge il dubbio di sbagliarsi, ci s’illude di poter ridurre tutto a una questione di volontà, “se solo ti impegnassi di più…”. Insomma: c’è davvero una ferita da curare? Oppure si può far finta di niente e andare avanti in modo “normale”? E ancora: questa ferita famosa, si trova davvero lì dove si crede? Quanto è profonda?
Difficile, soprattutto, quando si tratta di ferite altrui: la tentazione è infatti quella di negare la ferita, perché non la si vede, e di puntare il dito sui sintomi soltanto:
“Quante storie!”
“E che sarà mai, dai, non te la prendere!”
“Non ti sembra di esagerare?”
“Come fai a non capire?”.
Ma se si considerano i sintomi senza tener conto della ferita che, probabilmente, li ha causati, è come se si dicesse a qualcuno che accusa un dolore a un organo interno: “Ti fa male? Eppure, che strano, io non sento niente, e non vedo niente di diverso in te… non è che ti stai inventando tutto?”.

Arianna

La responsabilità del benefattore

Laddove sei ferito, un po’ di balsamo ti dà sollievo. Ma, allo stesso tempo, può renderti dipendente da chi lo dispensa. Il benefattore, dunque, si assume una grande responsabilità nei confronti del ferito e deve stare attento a dosare le attenzioni, per non fare promesse (o far pensare a eventuali promesse) che non può mantenere. Nel momento in cui qualcuno fa sorridere qualcun altro che non ha proprio voglia di sorridere, o gli fa arrivare un po’ di affetto nel momento in cui le sue ferite urlano vendetta sta creando un legame. Il rischio, però, è che il benefattore si trasformi in carnefice, perché qualunque legame – una volta creato – non può essere sciolto senza dolore.

Arianna

Primum non nocere

“Dài, non fare così: non volevo offenderti!”
“Massì, son cose che si dicono… perché, mi avevi preso sul serio?!”
“Non m’ero accorto che ci stavi male”
“Vabbé, ora non esageriamo: non l’ho mica fatto apposta!”
“L’ho detto senza pensarci”

Beh, no: non basta. C’è chi muore, di leggerezza, di ferite inflitte di passaggio, con le unghie nel morbido, che t’accoglie e sembra non avere fine, allora quasi quasi t’addentri ancora un po’, è caldo, fa piacere… beh, no: stai lacerando la carne viva d’un altro essere umano.
Quel che ti pare poco, può essere troppo. Non volevi, certo, ma non volere non basta. Devi ascoltare, osservare, restare. Lì, dove sei.
Ogni tanto, chiedere scusa e poi, però, cambiare.

Arianna

Ferite parlanti

Le ferite parlano.
Di noi, di loro, di fatti e avvenimenti, di cadute, incidenti, mattine e pomeriggi. Di notti, sogni e paure.
Le ferite parlano di discussioni, scherzi, risate, sussurri. Ripetono tutto come pappagalli, le ferite. Non sono capaci di tenere un segreto.
Alcune ferite, poi, parlano per noi. Arroganti, prepotenti, protagoniste al nostro posto. Ci fanno credere che sia per il nostro bene, ci difendono da nuovi potenziali pericoli, dicono. E così, noi ci perdiamo nei loro meandri confusi e ci sembra di essere una cosa sola: ci coloriamo del loro stesso colore.

Arianna