Nell’alba la nebbia si stacca da terra
nell’alba
prega il torrente al confine
la preghiera dei sassi.
E’ lunedì e si sente il suono dell’acqua.
Vedremo il perché.
Ancora riposa la sega
e la pialla
già sveglia aspetta le mani.
Aspetterà ancora a lungo,
vedremo il perché.
I tronchi e i pacchi di travi
sembrano un vicolo cieco
solo da sopra si scorge il disegno
o da dentro
da dove quel sogno proviene.
Come a saperlo
stamane distilla ogni legno
un sudore di ambra comune
non è proprio un pianto
piuttosto un dialetto
un modo per annunciare
la morte del segantino.
Questo dedalo d’assi
macchinari, muletti
è lasciato alla terra
è lasciato agli eredi
sporco di fango e fatica
di cui
la famiglia non sa più che fare.
E’ ancora presto e d’inverno
il lavoro inizia con calma.
Oggi però
la calma è protratta
e sogna ancora la sega
di tronchi d’ebano e oriente
e nel sogno
strano le pare
che non sia ancora tempo
di spaccarsi la schiena.
Tag: lavoro
Lavorare gratis (ma anche) no
“Mi ha detto esplicitamente che è disposta a fare lo stage gratis… beh… potremmo pensarci”
“No, abbiamo sempre retribuito gli stage, continuerei a farlo”
“Beh comunque se è disposta a lavorare gratis significa che è davvero motivata… è un punto a favore, no?”
No, significa che non ha coscienza dei suoi diritti né del valore del suo lavoro. Ed eventualmente può significare (punto a sfavore) che non è sensibile al tema delle disuguaglianze tra chi può contare su risorse famigliari e chi, invece, ha bisogno di reddito.
Difendiamoli, quei pochi diritti che ci sono rimasti.
Eccheccazzo.
5 colloqui di servizio civile
Approssimativamente l’anima
tra questa e l’altra sponda
tuo padre già svanito
sepolto nel Mediterraneo
(il nuovo mare dei cadaveri
la ferita che l’Africa mai ricuce
la violenza che l’Europa mai risana)
quel tuo curricula perfetto
il primo impiego a dieci anni
e l’italiano così incerto
tra i corsi e l’emozione.
Ed ora col tuo viso pulito
chiudi gli occhi
seduto nell’involucro metallico
cuore di lamiera
cuore di container
dove in tredici hai vissuto
sofferto, sperato, trovato
l’incommensurabile forza degli occhi
aperti ora
come braci sul mondo
ed ancora tua madre
quella che chiami fragilità
per non chiamare pazzia
quelle occhiaie lunghe di troppa
erba
troppo metal
troppa vita che scorre
dalle mani alla chitarra
il fiore degli anni
il fiore della sofferenza
due fiori recisi.
La giovinezza del tempo presente
l’insostenibile attesa di un lavoro
teoria smisurata all’università
gli occhiali e le mani sudate
la speranza di un impiego
pagato poco, pagato
però
tu che aduso ai tirocini
lanci gli anni come sassi
in attesa del giusto che non viene.
Infine il lavoro nei campi
la sicurezza ostentata
la tua giovane forza dell’est
a raccogliere mele perfette
cosi buone – in verità
cosi ingiuste – in verità
anche tu senza casa
anche i tuoi ventidue anni confusi
nella folla
degli universitari allo sbando
nonostante il cellulare
nonostante la camicia.
Giulio
Il lavoro che piace
Nel discorso ai neolaureati di Standford, Steve Jobs li esorta a fare ciò che amano. A trovare, dunque, o inventare, se ancora non esiste, il lavoro che piace.
Ecco, questa idea che non si debba lavorare solo per lo stipendio è molto diffusa, per lo meno tra i privilegiati che si pongono la domanda del: “Che lavoro mi piacerebbe svolgere? Per cosa mi sento portato?”.
Da un lato, per carità, bellissimo fare un lavoro che piace, visto che il lavoro occupa gran parte del tempo che passiamo da svegli. Dall’altro, però, mi pare che si corra il rischio di scavare solchi sempre più profondi tra chi lavora “per passione” e chi lo fa “per soldi”. E di catalogare le persone, e il loro grado di felicità, anche sulla base della professione che svolgono. Perché, diciamocelo, ci sono alcuni lavori che nessuno (o quasi nessuno) sceglierebbe “per amore”, se avesse la possibilità, appunto, di scegliere.
Tutto ciò per dire che l’altro giorno ho conosciuto una ragazza, e come spesso succede, ci siamo chieste reciprocamente che cosa facciamo nella vita. Lei fa le pulizie nelle case. E io sono rimasta lì, in silenzio per un attimo, perché mi sembrava di non poterle porre la classica domanda: “Ti piace? Ti trovi bene?”. Mi sembrava ovvio che non le piacesse. Poi però gliene ho fatta una simile: “E com’è? Come ti trovi?”. Mi ha raccontato un po’ di cose relative al suo lavoro, ma sembrava tutto sommato abbastanza contenta.
E io mi sono vergognata del mio imbarazzo iniziale.
In ogni caso, credo che la battaglia essenziale sia quella della libertà DAL lavoro (reddito minimo garantito, riduzione dell’orario di lavoro…), perché l’ingiunzione al lavoro che piace mi sembra creare ancora più disuguaglianze e schiavitù, anziché libertà: “visto che ti piace, allora puoi lavorare sempre”, “visto che ti piace, non pretenderai mica che ti paghino pure!”.
Voi che ne pensate?
Arianna
Ho già l’età
Trent’anni. Anno più, anno meno.
Chi si sposa, chi fa un figlio, chi compra casa, chi si realizza professionalmente.
E poi ci sono quelli in attesa: del lavoro, del periodo, dell’incontro, della guarigione.
“Alla mia età si dovrebbe… Ho trent’anni eppure… Gli altri già…”.
E’ difficile non cedere al sentimento di aver fallito, perché una vita “non ancora” sembra indegna, se misurata con il metro del successo sociale. Ma c’è un pensiero più doloroso del “non ancora”, ed è il “per ora”: per ora, sopravvivo. Per ora.
Arianna
Tout le monde travaille
“Ho scelto questa casa di cura perché è vicina al metrò, speravo che i miei nipoti sarebbero venuti a trovarmi… beh, no! Lavorano! E i miei figli, pure! Tout le monde travaille…”.
Madame E. sarebbe molto più contenta se fossero i suoi nipoti a portarla a spasso. Invece, me ne occupo io.
***
“Quando torni?”, mi chiede mia nonna.
“A Natale”
“Fino a Natale stai lì? Non puoi tornare prima?”
“No, nonna, devo lavorare, ho delle cose da fare qui…”
“E cosa fai oggi pomeriggio?”
“Vado da Madame E.“.
Mia nonna sarebbe molto più contenta se fossimo noi nipoti a occuparci di lei. Invece, deleghiamo a un’altra persona.
Oggi non ho voglia di andare da Madame E.
Arianna
Foto: Nadia Lambiase
Desidero, desideri, desidera, desideriamo, desiderate, desiderano.
Non so, più si va avanti più mi sembra vera la frase che si desidera sempre ciò che non si ha dando per scontato ciò che si ha, dall’amore alla salute, dalle esperienze agli oggetti.
A ragione posso dire che è sbagliato, che si dovrebbe fare questo e quello, che la felicità sta dentro e non fuori, e tutte queste belle cose che ci insegnano i libri dei saggi o chi per loro. Solo che mi sentirei un ipocrita a raccontarmela così platealmente, io vivo sulla mia pelle costantemente questo desiderio continuo di fare, avere, essere più di quello che faccio, che ho e che sono.
A questo punto vorrei smettere di desiderare, e basta. Sono abbastanza stufo di questa qualità insoddisfatta che accompagna il mio vivere, sempre rincorrendo qualcosa. Mi sembra di correre e correre per niente, perchè tutto cambia ma non cambio io e il mio stato interno. Mi piacerebbe poter vivere tranquillo, finalmente, senza desideri.
Giacomo
In memoria delle vittime di Barletta
Unità d’Italia
Al Sud i sindacati ci dicono di iscriverci nelle graduatorie del Nord, se vogliamo avere qualche speranza di lavorare.
Al Nord ci troviamo scavalcati di colpo da quelli del Sud, e così neanche i primi in graduatoria passano.
Lo Stato non fa niente per ridurre le disuguaglianze, siamo costretti a partire.
Danno voti più alti al Sud, questo è un fatto.
E’ ora di finirla con i pregiudizi.
Non è colpa di chi cerca lavoro, non dico questo, però è una guerra. E a morire sono sempre i soldati semplici.
Arianna
Foto: Nadia Lambiase
La vita? me la vivró più avanti, se avrò tempo, ora ho da fare.
Cera una volta un pescatore. Si alzava molto presto per andare in mare, gettava le sue reti e pescava. Faceva una vita modesta, riusciva sempre in qualche modo a pescare ció che gli serviva per vivere e mantenere la sua famiglia. Ogni giorno, al mattino, tornato in porto vendeva il suo pesce e trascorreva poi il resto della giornata prendendo il sole, leggendo, giocando con i suoi bambini, stando in compagnia di sua moglie. Non era ricco, ma nemmeno povero, era felice.
Un giorno un uomo d’affari venne in città e incontró il pescatore, così, dopo essersi conosciuti l’uomo d’affari esordí:
-Perchè se la pesca va bene non provi a risparmiare un poco? In breve tempo potresti permetterti altre reti, con le quali prendere più pesce e guadagnare di piú. Poi potresti comprare una barca più grande, altre reti, permetterti un paio di persone che ti aiutino. Dopo dieci anni, diciamo, potresti essere diventato abbastanza importante da comprare altre barche, ed espanderti in altri mari, avresti una compagnia bella grande e dopo, diciamo, altri vent’anni potresti ritirarti poco a poco, essere capo di una compagnia che funziona da sola, trovare un buon amministratore, e avere tempo libero per fare quello che tutti vorrebbero e goderti finalmente la vita.
-Dimmi, cosa potrei fare nel mio tempo libero allora? Come mi godrei la vita?
-Mah, vedi, potresti per esempio leggere un libro, avere tempo di stare con tua moglie, giocare con i tuoi nipoti tutto il pomeriggio, stare un po’ al sole…
Giacomo