Torino bucata

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A Torino ci sono i buchi nell’asfalto, anche in centro, anche in pieno centro. Proprio buchi-buchi, non buchetti. Buchi talmente buchi che è meglio evitarli, quando si passa. Mi fanno tristezza, quei buchi, come i buchi nei bilanci del Comune: hanno messo troppo asfalto dove non ci voleva e ora non ne mettono a sufficienza, dove ci vuole.

A Torino c’è anche un signore con le spalle curve, l’ho visto seduto in punta a una sedia, in punta a un tavolo, concentrato per occupare poco spazio, per stare scomodo anche così, seduto. Forse è piemontese, e ha paura di disturbare (hanno sempre paura di disturbare, i piemontesi).

A Torino c’è poi una donna con i capelli un po’ bianchi e un po’ grigi che aspetta il pullman, alla fermata. Tiene in braccio un bimbo con il viso da vecchio, la voce acuta, le mani in tasca, lo chiama “amore”. Né il bimbo né la donna sanno tra quanto passa. “Come facciamo a saperlo?”, chiede il bimbo; “Come faccio a saperlo?” chiede la donna. La donna ha un anello al dito che ogni tanto stringe e ogni tanto balla. Dipende dalle dita: a volte son gonfie, a volte no.

Arianna

Foto: Torino 2015

Pedine

Com’è stare in periferia2012 Viaggio Nepal e Cina (988)

dove i condomini

gli immigrati

le case accatastate

la spazzatura che s’accumula

il bianchetto alla mattina

la grande strada

che passa proprio qui

il treno che sferraglia di notte

sferraglia di giorno

sferraglia anche il respiro

e il tram che non arriva.

 

Com’è stare in periferia

del mondo

dopo tanto stare al centro,

dove la scuola

gli ospedali malconci

la connessione scadente

le famiglie abbandonate

le speranze disabitate

le donne domestiche

il lavoro che manca

la cattiva informazione

ché l’ha detto la televisione,

i giovani immobili

i pregiudizi che risalgono

la colpa ai cinesi

ai marocchini

agli albanesi.

 

Com’è dopo aver creduto

per quattro cinque decadi

d’essere in centro

tra la gente perbene

tra i nostri simili

(i dissimili ce lo hanno dato a intendere

di essere simili a loro).

 

Eravamo soltanto

periferia inurbata,

campagna concentrata

schiacciata distillata

messa lì apposta

nel vasto spazio economico

del tabellone

a far il gioco d’altri

giocatori sì, al monopoli

ma senza case e senza alberghi.

Giulio

Puzza di povertà

Ieri sul tram un uomo si è seduto di fianco a me.
Era vestito con un giaccone liso e sporco, aveva i capelli unti, le mani tagliuzzate, e sporche pure loro. Puzzava.
Puzzava davvero. Tanto. Facevo fatica a stargli vicino.
Non volevo però alzarmi e cambiare posto, perché temevo potesse rimanerci male.

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Ho resistito un po’, forse dieci minuti.
Poi mi sono alzata e mi sono avvicinata alle porte d’uscita, fingendo di dover scendere alla fermata successiva. Il tram era abbastanza pieno, c’erano altre persone tra me e quell’uomo. Spero non abbia notato la mia mossa.

E’ successa una cosa da niente, forse.
O forse no.

Arianna

Foto: Mosca 2012

Écotourisme parisien

024Une entreprise de traitement d’eau fluviale s’installe à Paris. Le projet : purifier et embouteiller toute la masse hydrique de la Seine. Le but : vendre à l’étranger les bouteilles d’eau parisienne à des prix exorbitants.
Les parisiens accepteront-ils le barrage et le vidage de leur fleuve légendaire ? L’entreprise entend destiner une partie des bénéfices à l’intérêt général. D’abord elle promet d’élargir les surfaces habitées. Adieu les appartements minuscules. Tout le monde aura plus de place pour soi sans que cela se traduise dans moins de place pour les autres. Ensuite elle annonce la suppression des heures de pointe. Adieu les embouteillages et les boîtes à sardines. Les habitants pourront se réunir en famille après le travail sans devenir des obstacles les uns pour les autres. Enfin, l’entreprise promet le contrôle météorologique. Adieu les grisailles et les pluies. Désormais celles-ci se feront par référendum, à la demande des grands réalisateurs. Comme le succès de la marque dépend du prestige de Paris, l’entreprise encourage les séjours touristiques et la mise en valeur de la personnalité de la capitale. D’abord seront repérés les traits de la vie parisienne qui font sensation à l’étrager. Ensuite des initiatives seront mises en place pour accentuer et pour généraliser ces aspects de la ville. Lassée des mesquineries des politiciens, la population ne peut que succomber pleine d’enthousiasme à ce programme ambitieux et porteur d’avenir. Les différentes initiatives du projet entrent en phase d’exécution.
Cependant, la classe politique conspire contre le projet. Des experts scientifiques rendent insignifiantes les promesses de l’entreprise. En réalité, l’élargissement des appartements sera deux fois plus grand, affirment-ils, les déplacements en heure de pointe se feront par télétransport, même les nuits seront supprimées pour mieux profiter de la splendeur permanente. Perplexe, la population se divise alors en deux camps. Progressivement, la classe politique finit par l’emporter. Le programme de l’entreprise est d’abord interrompu, ensuite abandoné.
Des promesses des politiciens rien ne reste aujourd’hui. Quant à l’entreprise, en revanche, on retrouve les traces des initiatives avortées dans les ruelles du Quartier Latin, aux allentours du Sacré Cœur et dans le style hautain de certains garçons de café.

***

Un’azienda di trattamento delle acque fluviali apre una filiale a Parigi. Il progetto: purificare e imbottigliare tutta la massa idrica della Senna. L’obiettivo: vendere all’estero le bottiglie d’acqua parigina a dei prezzi esorbitanti.
I parigini accetteranno la chiusura e lo svuotamento del loro fiume leggendario? L’azienda intende destinare una parte dei guadagni all’interesse generale. Anzitutto, promette di ampliare le superfici abitate. Addio agli agli appartamenti minuscoli. Tutti avranno più spazio per sé, senza che questo si traduca in meno spazio per gli altri. Inoltre, l’azienda annuncia la soppressione delle ore di punta. Addio agli ingorghi e alle scatolette di sardine. Gli abitanti potranno stare in famiglia dopo il lavoro senza diventare degli ostacoli gli uni per gli altri. Infine, l’azienda promette il controllo metereologico. Addio ai cieli grigi e alle piogge. Oramai queste ultime si faranno per referendum, su domanda dei grandi registi. Poiché il successo del marchio dipende dal prestigio di Parigi, l’azienda incoraggia i soggiorni turistici e la messa in valore della personalità della capitale. Anzitutto saranno identificati i tratti della vita parigini che fanno sensazione all’estero. In seguito, verranno organizzate delle iniziative per accentuare e per generalizzare questi aspetti della città. Stanca delle meschinità dei politici, la popolazione non può che soccombere piena di entusiasmo a questo programma ambizioso e portatore di avvenire. Le diverse iniziative del progetto entrano nella fase esecutiva. Tuttavia, la classe politica cospira contro il progetto. Alcuni esperti scientifici rendono insignificanti le promesse dell’azienda. In realtà, l’allargamento degli appartamenti sarà due volte maggiore, affermano, gli spostamenti all’ora di punta si faranno per teletrasporto, anche le notti saranno eliminate per godere meglio dello splendore permanente. Perplessa, la popolazione si divide allora in due campi. Progressivamente, la classe politica finisce per avere la meglio. Il programma dell’azienda è prima interrotto, poi abbandonato.
Delle promesse dei politici oggi non resta più niente. Quanto all’azienda, invece, si vedono ancora le tracce delle iniziative abortite nelle viuzze del Quartiere Latino, nei pressi del Sacro Cuore e nello stile altezzoso dei camerieri.

Martin

Ammazzando così la noia…

Crisostomo guardava fuori dalla finestra e non capiva.
– Perchè? – si chiedeva – Perchè il viaggio condiziona così tanto l’essere umano? Come è possibile che se vivo in Spagna per un anno la mia routine quotidiana scompare? Tutto è frizzante, ogni giorno, e io mi sento eccitato, entusiasta, costantemente! Perchè non riesco a vivere allo stesso modo a casa mia? Perchè qui cado nella routine? Camminavo per la Rambla, a Barcellona, e ogni particolare, sebbene lo osservassi per la centesima volta, visto che percorrevo quella strada ogni giorno per andare in facoltà, mi sembrava nuovo, degno di interesse, di attenzione. Tutto, i discorsi dei passanti, i profumi nell’aria, la confusione del mercato, i colori dei fiori delle fiorerie, i volti della gente…tutto era interessante. Cammino invece qui, nella mia città, e non provo nulla, il mio cuore non sussulta, osservo i miei piedi che si susseguono uno dopo l’altro, mentre mi portano dove devo andare e mentre provo noia durante ogni tragitto. –
Crisostomo non capiva, si sforzava di capire, ma non ce la faceva proprio a spiegarsi la sua noia, così strana, così legata a dove viveva. Eppure non poteva dare la colpa al posto in cui viveva, non era l’ambiente circostante.
– Mi ricordo – diceva a voce alta nella stanza vuota, come se volesse farsi sentire da qualcuno – che quel mio amico spagnolo, venuto in questa città l’anno prima che partissi io per la Spagna, aveva provato un senso simile. Anche lui si era trovato bene, entusiasta per tutto ciò che lo circondava, mentre ritornato nella sua città natale…Quindi, quindi…Non può essere colpa del luogo – aveva alzato la voce, la sua fronte si era corrucciata e aveva cominciato a gesticolare con le mani, come se dovesse spiegare il concetto a degli ipotetici spettatori – il posto non centra! Non è questa città che è noiosa ma…è come la percepisco io che è sbagliato…è come io vivo questo sistema che lo rende pietoso. Sono io che sono sbagliato? –
E giunto a questo punto del suo ragionamento si fermò e semplicemente stette, in piedi, immobile, dove si trovava. Paralizzato inebetito era là: la sua mente si era spenta e così il suo corpo. Dopo qualche ora sarebbe già stato al bar ad ubriacarsi con gli amici, ammazzando così la noia e tutto il ragionamento precedente che lo aveva, forse per un attimo, messo con le spalle al muro, risvegliato e indicato la strada per uscire da quel vicolo cieco in cui si era ficcato. Tutto veniva dimenticato, la coscienza ritornava a dormire e lui, magicamente, non si sentiva più accusato di nulla, stava benissimo. Forse, il vero problema, era che non voleva cambiare, non voleva ammettere di essere “sbagliato”, non voleva percorrerla quella strada, era più comodo berci sopra e continuare così…

Giacomo

Il viaggio come pratica estetica

(…) Appena entrato, capì che era ormai da tempo finita, per lui, l’epoca delle camerate. Chiuse la porta, percorse la lunghezza del rifugio e si trovò ad un’alta finestra. La città si offriva ai suoi piedi per la seconda volta, ma la lasciò giacere lì, come sempre era rimasta, pronta ad accogliere le grida entusiaste di qualche fotografo d’occasione. Già una volta, la volta prima, l’aveva camminata nella sera di una domenica, alla ricerca di un’ispirazione qualunque, e l’aveva trovata ostile, nemica, pronta solo a lasciargli esplorare la propria solitudine da viaggiatore improvvisato.
Come da abitudine, usò il bagno. Era un modo per fare casa in ogni luogo, appropriarsi di quel servizio nei primi minuti del soggiorno. Delimitare il territorio, gridare dagli orifizi la proprietà fisica dello strumento. La seduta, pensò, è sempre un ottimo modo per approcciare gli spazi, per approssimarne l’esperienza futura: gradì l’enorme specchio, le ceramiche, la doccia, le saponette. Tutto lì sarebbe stato suo per qualche notte.
A differenza dell’ultima volta, scelse di cenare nello spazio che si diceva ristorante, anche se non aveva fame. Non ambiva a farsi vedere, ma a far vedere la sua presenza, si sedette in mezzo a due tavoli affollati sfidando la socialità del tutto, e vinse la solitudine di una pizza al salamino. Intorno era Babele, e lui era il dio di quella vendetta. Tornò al suo spazio e si mise a scrivere le sue memorie: l’unico vero modo per dimensionare il dolore, scriverne. (…)

Gianmarco