Scegliere la giusta utopia

Dicono bisogna difendersi e, appena si può, attaccare. Dicono di tirare fuori le unghie, soltanto per non farsi sbranare. Dicono se ci rimani male, sei fragile, devi indurire la corazza.

Dicono l’utopia dell’uomo “che non deve chiedere mai”.

L’unica donna di potere, dopo lo yoga mattutino, si arma e parte, per colpire i più deboli, quelli senza difese. Mi ferisce, mi fa male.

Dico: ma non possiamo scegliere un’utopia migliore? Se fatica dev’essere, perché non sforzarci tutti verso la gentilezza, il tatto?

Dico, in fondo, basta poco per uscire da questa metafora belligerante. Una guerra con altri mezzi, una guerra infinita.

Arianna

Le avevo detto di non innamorarsi

«E allora? Ne hai combinata un’altra delle tue, eh?»
«Senti, non incominciare, non ho proprio voglia di sentire le tue solite prediche da moralista bacchettona»
«Mi dispiace ma un paio di insulti non te li leva nessuno»
«Ecco, lo sapevo»
«Sei un insensibile, egoista, egocentrico! E scommetto che non ti senti neanche in colpa…»
«Infatti. Sto benissimo»
«Non ti dispiace per Ilaria?»
«Oh, ma allora sei proprio tarda! T’ho detto di no, non mi dispiace, non mi sento in colpa, sto da Dio. Sono stato corretto e sincero al 100%… più di così!»
«Quindi le hai detto che sei stato con un’altra?»
«No, beh, questo no… ma non ce n’è bisogno, la farei soffrire inutilmente. Però non mi sento in colpa perché ho messo le cose in chiaro fin dal primo giorno: “niente di serio”»
«Ho capito, però, voglio dire… mi sembra un po’ ipocrita da parte tua, sai perfettamente che lei nel frattempo si è presa, insomma, uscite da qualche mese ormai…»
«Senti, non so cosa farci, gliel’avevo detto che non doveva innamorarsi. E glielo ripeto sempre che io non sono innamorato, non mi considero il suo ragazzo, se capita vedo altre tipe»
«Ma perché? Hai paura di innamorarti? Qual è il problema?»
«Lo vedi come sei? Non capisci niente! A noi uomini interessa il sesso. Punto. Poi, sì, magari ci possiamo anche innamorare, ma capita raramente. Voi invece, che palle, vi attaccate subito come delle ventose! Io mi voglio sentire libero, voglio fare quel che mi pare»
«E allora stattene per conto tuo su un’isola deserta! Ma come fai a scindere così nettamente i discorsi? Sesso da una parte, sentimenti dall’altra?»
«Non sono più un adolescente che parte in quarta a parlare d’amore, appena c’è una tipa che gli piace un minimo »
«A me sinceramente sembra molto triste che tu sia così scisso: da un lato il corpo, dall’altro l’emotivo, e la mente ancora da un’altra parte, magari quella la usi solo al lavoro, quando ti dimentichi completamente di corpo ed emozioni…»
«Spero tu abbia quasi finito perché non ti reggo più»
«E comunque sei responsabile per Ilaria! Non le dici dell’altra ragazza “per non farla soffrire inutilmente”, ma secondo te il fatto di ripeterle che non sei innamorato di lei le fa piacere?! Non ti rendi conto che le fai del male continuando a frequentarla pur sapendo che lei è innamorata e tu no?»
«È adulta e vaccinata. Ho messo le cose in chiaro, ora sta a lei agire di conseguenza. Non posso certo decidere io al posto suo!»
«Forse lei spera che prima o poi ti innamorerai anche tu…»
«Sì, infatti, è quello che vorrebbe. Ma gliel’ho già detto che non capiterà. Perciò sono stato sincero, vedi? Non l’ho illusa come fanno tanti, solo per portarmela a letto»
«In ogni caso a me sembra troppo comodo dire che avevi messo le cose in chiaro, hai fatto il compitino e allora sei tranquillo. Come fai a fregartene così? L’unica mia speranza è che Ilaria abbia una buona amica che la convinca a mandarti a quel Paese»

Arianna

Un gesto d’amore

Ho scoperto che l’uomo
e la donna
nascono nudi
grumo di carne
tra il sangue e la merda
– sì, la merda –
uno strappo  
il respiro.

E così siamo.

Ma non è vero il pensiero è vero
un gesto d’amore
perfetto scolpito
tra lo strappo, il sangue e la merda.
Un gesto d’amore che esiste
– com’è possibile? –
in questa schifosa
vischiosa realtà.

Arianna

Diciott’anni (parte 1 di 2)

La dama dei nodi se ne sta a circa una decina di metri dall’architetto. Intorno ai grandi tavoli gli invitati sono seduti aspettando il secondo di pesce, chiacchierando. Di tanto in tanto, alzano i calici per un altro brindisi. Poco lontano stanno gli sposi, frastornati dalla confusione del matrimonio, al centro dell’attenzione di tutti, meno che di quella dell’architetto. Ambrosi infatti, quando la situazione lo consente, osserva la dama dei nodi. E’ piccolina, pensa, avrà diciotto anni! Ma non può fare a meno di guardarla. Osserva i suoi gesti, l’espressione del volto, le curve della schiena. Si chiede se sia un’infatuazione passeggera, ma poi si dimentica di questo e riprende a guardarla. Applaude al discorso della madre dello sposo, quando quella brucia tutta di passione per il figlio, ceduto ad un’altra donna più giovane e bella di lei. Mentre applaude però, pensa a quanto sia elegante il taglio del vestito nero di quella ragazza, con le spalline da cui la stoffa scende sulla schiena lasciando scoperte le scapole e ricongiungendosi a v poco più in basso ai gancetti del reggiseno. L’architetto si perde a pensare a quei gancetti, anche mentre gusta il secondo di pesce: rombo con una crosticina di mandorle e spaghetti di zucchine. Avrà diciott’anni, pensa. Ma poi pensa anche che non è che voglia fare l’amore con lei, non è che voglia sedurla o altro. Semplicemente la osserva; forse vorrebbe conoscerla, ma di questo non ne è sicuro. Vorrebbe conoscerla forse per capire se ha visto giusto, per capire se davvero il sorriso della dama dei nodi, come l’ha chiamata, sia un sorriso di cristallo, anche se immaturo. Ambrosi pensa che, dopotutto, tra loro c’è la stessa differenza di età che tra i suoi genitori. I suoi genitori, come coppia, hanno funzionato meglio di altre di età meno dissimili. Ed anche se avesse diciott’anni… ma poi che conta l’età, pensa. L’architetto si alza e raggiunge gli amici all’aperto, nel patio; i suoi sentimenti sono come le nubi. Dentro lo sposo è invischiato in un rituale goliardico, bendato cerca di riconoscere la sposa tra altre dieci donne annusando uno ad uno i piedi di quelle. La dama ancora dentro, osserva la scena. L’architetto la guarda da lontano, in piedi poco più in là. Il vestito ricade gonfio sopra le ginocchia e mostra le gambe esili, piccole gambe di ragazza. Ha delle scarpe bellissime. Le più umili di tutte le invitate o forse le più eleganti. Scarpe semplici, di pelle scura con un tacco basso. A punta, normali, pensa l’architetto, eppure gli piacciono quelle scarpe. Accidenti, mi sono infatuato di una ragazzina con i capelli aggrovigliati. Ogni tanto la dama dei nodi lo guarda, o almeno così a lui pare, non lo sa davvero, spera di sì, ma è impossibile e poi spera anche di no. Lei ogni tanto sorride, ma i suoi gesti sono complessi, rotti da certe insicurezze o forse altro, in profondo, dove Ambrosi non riesce a scorgere. Fuma una sigaretta. Si arrabbia con tutto. Si arrabbia con gli invitati e la loro ipocrita felicità, si arrabbia con il menù elaborato, pieno di aggettivi ridicoli, si arrabbia con la ricchezza di quel luogo, con il finto benessere, con la totale irrealtà di quella situazione. Capisce anche che tutte quelle rabbie bussano al suo cuore perché, come un bambino deluso, egli non può avere ciò che desidera. Tutto ciò che ruota intorno a lui ed alla dama dei nodi ostacola il loro rapporto silenzioso ed inespresso. Allora vorrebbe cancellare quegli ostacoli, andare da lei e chiederle come si chiama. La dama dei nodi esce, lascia le amiche e si mette sola, a circa due metri da lui.

…to be continued

Giulio

Bellissima, in treno o chissà come

Quel giorno il signor F. venne a sapere che lei sarebbe arrivata in città l’indomani. In un primo momento rimase folgorato nello scoprire che quella donna, assoluta celebrità, stava arrivando esclusivamente per incontrarlo. Per incontrare lui!
– Sicuramente verrà a trovarmi qui a casa – pensò F. – devo mettere tutto in ordine, preparare ogni cosa. – Pensò di iniziare dalle faccende domestiche, si spostò in poltrona e chiese alla donna di servizio di cambiare le lenzuola, di metterne di nuove e profumate. Di cambiare le federe anche e di preparare un mazzo di rose rosse, fresche e belle, in onore di lei. La signora C., pallida per l’emozione, non disse nulla e corse via, verso i propri mestieri. Voleva molto bene al signor F., erano vent’anni che ogni giorno si occupava della casa. Spolverava le fotografie, catalogava le carte, preparava il pranzo e le pareva di metter ordine alla sua vita e dopo dieci lunghi anni si accorse di esserne innamorata. Per altri dieci non disse nulla, lo amò in silenzio ed ecco che oggi il signor F. le faceva preparare delle rose per quell’altra, che sarebbe arrivata così d’improvviso, il giorno seguente. Non era giusto, pensò. Avrebbe voluto svuotare la chiusa dei propri sentimenti strozzati, come una diga rotta di rabbia e d’amore ed invece rimase ancora in silenzio. Preparò le rose, trattenendo a stento le lacrime. Il signor F. da parte sua aveva altro a cui pensare. Scrisse al figlio ormai adulto; non poteva chiamarlo dato che si era trasferito in Olanda per lavoro. Gli descrisse la noia dei giorni precedenti e di come ora fosse tutto così diverso, come il cuore avesse ripreso a battergli a mille per l’emozione e l’attesa di lei, quella affascinante bellezza. Anche se era vecchio, il torace ritmava i colpi come fosse un quindicenne innamorato, che una tale occasione non se l’aspettava, proprio non ci aveva pensato mai, nemmeno negli ultimi anni. Riordinò i propri scritti ed infilò alcuni volumi al loro posto nella libreria. Si chiese perché avesse utilizzato tutto quel tempo per leggere o scrivere. Utilizzato o sprecato, questo non sapeva più dirlo adesso. Poco sapeva dire in quel momento e iniziò a ritenere che tutto il detto prima fosse stato quasi superfluo, che lei arrivava, bellissima, in treno o chissà come e che lui non era pronto o aveva comunque dovuto affrettare i preparativi. Rimase in silenzio sulla poltrona, per ore. Poi con estrema fatica si alzò, ma di fame non ne aveva. Appoggiato al girello, come un neonato vecchissimo, si trascinò in camera, vide le rose e le lenzuola pulite e ne fu felice. Sul cuscino una lettera, la calligrafia quella della signora C. Lesse la parola amore, la parola fedeltà ed anche silenzio, paura e poi in fondo dire tutto, dire tutto e poi addio, amore. Il signor F. pensò che le donne, non le aveva mai capite. Buttò la lettera sul comodino. Quindi si distese e fece per dormire. Poco dopo mezzanotte sentì il suono del campanello, nitido e chiaro e poi un vortice di vento venire su e su per la tromba delle scale, infilarsi come un fumo sotto la porta d’ingresso e venire dentro, aleggiare nell’atrio e poi lì, nella stanza. Aveva occhi di tenebra e labbra di porpora. Era la morte. Non che ci fosse davvero, ma era lì e lui lo sapeva. Inspirò, espirò e non capì. Il signor F. morì infatti, subito prima di capire.

Giulio

Dalla parte delle donne

Ancora sulle donne. Alcuni diranno mbeh, è la prima volta che scrivi sulle donne ed è proprio vero, in questo cielo è la prima volta che porto alcuni pensieri che spesso però mi accompagnano nel quotidiano. Il mio discorso inizia con una provocazione: io mi auguro che un giorno vi siano più donne vere. Fatti gli stramaledetti caxxi tuoi, cretino! Potrebbe dirmi qualche esponente del pubblico femminile, quando mi arrogo l’implicito diritto di definire che cosa sia donna e che cosa non lo sia. Visto?, vi siete fatte fregare! Chi sia donna e chi non lo sia, avrei dovuto scrivere. Io non mi arrogo il diritto di sapere chi sia la donna, era una provocazione, ma quello che desidererei davvero è che la donna possa, al di fuori degli angusti confini in cui la società cerca di imprigionarla, esprimere la sua vera natura. Perché questo non accade ed è anzi la società, il mondo, un certo pensiero antico e stupido, che definisce invece chi la donna debba essere. E la società, maschile o femminile che sia, grida: un oggetto da consumare. Ed ora guardate a sinistra, qui in alto. L’avete già fatto, ma guardate nuovamente. Questo è un falso modello. E’ un modello orribile, un manichino privo di vita, un modello di donna svuotato del proprio contenuto, un involucro vuoto. Come uomo mi sento attratto da questo modello ed è questa la prova del fatto che questo mio gusto sia stato pilotato e cioè proprio il fatto che io venga attratto da un modello che in realtà, se guardo in profondità dentro me stesso, mi disgusta. Se tra le donne lettrici una solamente pensa che le piacerebbe assomigliare a questo modello, ecco una prova ulteriore di come le nostre menti, i nostri gusti, le nostre visioni, siano state decise dall’esterno.

Giusto ieri, durante la festa della donna, mi sono imbattuto, grazie alla mia compagna, in questo filmato, che ha suscitato in me un profondo disgusto, ma non come qualcosa di nuovo, bensì come qualcosa che conosco, qualcosa che già pensavo e che stava nei miei pensieri, negli scritti più vecchi di questo che non avete mai letto perché sono nati su un’altra terra. Ma prima di cliccare ed andare a dare un’occhiata vi avviso: è un breve documentario di venticinque minuti e per arrivare in fondo c’è bisogno di attenzione, di intelligenza e soprattutto di un po’ di voglia di capire uno dei tanti processi di sopruso e schiavizzazione in atto nella società in cui viviamo. Siamo schiavi, diventiamo schiavi. Puntualizzo, per arrivare in fondo a questo video bisogna sbattersi ed avere il coraggio di affrontare una piccola realtà. Se inizierete e lascerete da parte non ci sono scuse, significa che siete troppo superficiali, troppi stupidi o stupide, troppo ottusi o ottuse, troppo inglobati, mangiati, spolpati vivi da quello che è già stato per rendervi conto di quanto il vostro cervello stia subendo un lavaggio, che al confronto la pubblicità dei detersivi non è nulla. Mi espongo, se non cliccate o se non concludete e non riflettete, siete dei cretini o delle cretine.

Voglio fare una puntualizzazione per il pubblico femminile. Non fate di questa questione una facile battaglia femminista, perché qui non c’entrano gli uomini e le donne, o meglio c’entrano, ma non è una lotta sesso contro sesso. Qui è una lotta tra differenti sensibilità, tra una vecchia che prima o poi deve lasciare il pianeta come una pelle morta di un serpente ed una nuova di cui sono e mi sento pioniere. Quella sensibilità vecchia la fa oggi da padrona e, spaventata dal nuovo vento, un vento che vive anche di rispetto e parità vera tra i sessi, si impegna con ogni mezzo rimastole a disposizione per decerebrare le persone, per renderle delle bambole balbettanti un unico messaggio: quello imparato. Qui gli uomini nuovi si devono schierare insieme alle donne nuove ed affermare che tutta questa spazzatura, che lo schifo in cui viviamo deve avere una fine. Io lavorerò tutta una vita per cercare, tra le altre rivoluzioni non violente di cui mi sento promotore, di fare in modo che l’uomo e la donna diventino due mondi che riconoscano nel rispetto il reciproco potere, la reciproca bellezza e la reciproca diversità. Questa è per me l’epoca in cui la donna riacquisterà il suo ruolo ed il suo potere, ma per fare questo deve purificarsi, così come l’uomo, dallo schema mentale a cui è stata assoggettata per millenni. Questo schema è uno schema messo in atto non dall’uomo, ma meglio attraverso l’uomo da forze superiori e malefiche che hanno fatto leva sulla debolezza di entrambi i sessi per creare una visione di schiavitù generale. Così la donna è schiava della propria immagine, alla rincorsa di una bellezza vuota, finta, prefabbricata, simile a quella di un manichino, senza vita e senz’anima, mentre l’uomo è schiavo di una dipendenza smodata, studiata, imposta a tavolino da quel simbolo di potere che è la vagina. Ripenso a quel dipinto, l’Origine del mondo.

Io vorrei chiedere ad ogni uomo e ad ogni donna di purificare se stessi da una visione distorta dei sessi, da una visione vecchia ed abbruttita dai secoli, per abbracciarne una nuova estremamente più elegante e potente: una visione di rispetto reciproco in cui la natura dell’uomo e della donna possano emergere naturalmente per quello che sono, nel loro equilibrio, nella reciproca interazione e fusione, nell’amore, anche fisico, non come passatempo vuoto, ma come momento di sublimazione della affascinante duplicità dell’esistente. Qui sotto, tra i commenti, vorrei due parole da tutte le persone che hanno visto questo video o che hanno letto questo scritto, dalle persone che anche se non hanno capito un cacchio di ciò si cui si parla, appoggiano questa visione perché sentono che quella che ci propinano è una menzogna schifosa. Mentre qui soffia il vento nuovo.

Giulio